domenica 23 novembre 2014

Il Terzo Lato Del Vinile Intervista Blooming Iris





I Blooming Iris sono Nicolò Capozza (voce), Daniele Razzicchia (chitarra, synth), Guglielmo Sacco (basso), Andrea Orsini (chitarra) e nascono nell'autunno del 2010. Dopo due anni di lavoro pubblicano il loro primo EP Field: 5 brani rock  graffianti che collocano subito la band come nuova interessantissima realtà rock della capitale.
Amondawa è il disco della conferma. L'anima prettamente rock è fiancheggiata ora dall'utilizzo dell'elettronica e da alcuni slanci folk in un disco che trova la sua forza nella sezione ritmica e nelle aperture sognanti e disincantate.
Dieci domande come dieci le tracce di Amondawa.

Per vedere l'intervista video clicca qui.

01 Il vostro nome è ispirato a un’immagine di National Geographic che raffigura la nebulosa Iris, una nube interstellare che si illumina della luce delle stelle vicine. Una foto emblematica dei fenomeni fisici che avvengono nel macrocosmo e una riflessione sull’io interiore in continua mutazione. Quali sono i motivi di questa scelta?
I motivi di questa scelta riguardano la nostra costante volontà ed attitudine ad essere in continua evoluzione, proprio come la nebulosa, che muta e cambia forma. Appena abbiamo visto la foto abbiamo subito capito che quello doveva essere il nostro nome.
Dal primo EP siamo cambiati molto, e già siamo cambiati rispetto al nostro ultimo album Amondawa, ma in non è sempre così quando si percorre una strada?


02 L’EP Field del 2012, il video di Hello Wonderland e una grande quantità di prestigiosi concerti hanno allargato il vostro raggio d’azione. Quanto siete fieri di essere riusciti ad arrivare ad Amondawa con la vostra idea di musica intatta?
Siamo molto fieri, ma non sarebbe potuto essere altrimenti. Questo come tutti i progetti in cui si mette il cuore hanno il diritto di potersi esprimere senza vincoli o mezze misure. Siamo anche molto fieri dei live che abbiamo fatto, degli applausi, dei complimenti, delle critiche negative e di quando dal palco vediamo la gente che si muove a ritmo.


03 Avete presentato il vostro disco d’esordio Amondawa il 30 ottobre al Lanificio 159 di Roma. Immagino non sia stato un concerto qualsiasi. Cosa ricordate di quella serata?
L’atmosfera era pazzesca, suonare davanti a quasi 400 persone che vengono per ascoltare solo te ti responsabilizza e crea allo stesso tempo una sinergia che rende tutto più magico ed emozionante, a maggior ragione in un bel locale come il Lanificio.
Vogliamo ringraziare ancora una volta Rhò che ha aperto lo spettacolo ed ha scaldato l’atmosfera nel migliore dei modi.



04 Amondawa è un piccolo gruppo etnico del Brasile in cui gli individui che ne fanno parte non conoscono il concetto di tempo e cambiano nome in base alle fasi della vita. L’idea di tradurre questo concetto in musica come vi è venuta e quanto è stato difficile arrivare a realizzarla nel modo corretto?
Il tutto è nato perché sentivamo il bisogno di ritagliarci dei momenti in cui il tempo si fermasse, proprio perché ne avevamo poco. Era ancora più paradossale in quel periodo per noi pensare a questi uomini e queste donne e a come sia la loro vita, neanche stessero su Marte.
Oltretutto abbiamo cercato di curare ogni aspetto del lavoro in modo tale che emergesse però un’antica identità sia a livello sonoro che di immagine.



05 L’immagine di copertina è un essenziale collage di materiali su uno sfondo bianco e il titolo ha una calligrafia infantile, quasi analfabetica. Come mai questa scelta?
Quell’immagine ci ha sempre riscaldato. Volevamo che colori e figure rispecchiassero la nostra musica, e allo stesso tempo ci facessero sentire a casa, e lo stesso vale per il font. Volevamo fosse tutto più vero possibile.

06 I contenuti sia musicali che lirici all’interno del disco sono molto profondi ed hanno bisogno di parecchi ascolti. Credo che Amondawa sia un disco in cui il messaggio univoco venga tradotto dagli ascoltatori secondo le proprie esperienze. Era questo il luogo adimensionale che volevate raggiungere?
Assolutamente sì. Già lo stesso ricevere questa domanda sottintende che siamo riusciti nel nostro intento, e ne siamo felici.
Il sogno di ogni musicista è che l’ascoltatore metta il disco nelle casse e si sieda semplicemente a “subirlo”, lasciandosi trasportare.

07  La canzone che forse si collega di più con la copertina, con la nebulosa e con la tribù brasiliana, credo sia Solipsist. Tutto quello che l’individuo percepisce è creato dalla propria coscienza. Un altro cosmico interrogativo raccontato dopo aver messo a fuoco correttamente il valore di una relazione.
Abbiamo voluto raccontare una storia che ha riguardato una persona a noi molto cara. Come nella maggior parte delle tematiche di Amondawa descriviamo uno scenario, raccontiamo una storia che può essere colorata solo da chi la ascolta.


08 Le liriche di tutti i brani assieme all’originalità compositiva fanno di Amondawa un album e non un’insieme di canzoni. Credo che il momento migliore si trovi nella parte centrale, in NIM e The Mirror Stage, due canzoni che sembrano uscite da una risolutiva analisi di sé stessi.
Abbiamo cercato di dare una continuità al disco, ma abbiamo anche cercato di mettere in luce una delle nostre caratteristiche principali, ovvero i cambi netti di atmosfera, sia all’interno di una stessa canzone che in tutto il corso dell’album.
Questo elemento contraddistingue anche il nostro live: molto spesso c’è stata l’esigenza di dare al singolo brano più facce.
Le canzoni sono come le persone: mutevoli, ma sempre le stesse.


09 Woodlack, singolo uscito qualche mese prima della pubblicazione di Amondawa, è una collisione cosmica dei nostri mondi, e avete dichiarato essere nato molto rapidamente. Cosa rappresenta per voi questa canzone? È previsto un nuovo singolo?
Per noi Woodlack è stato il modo più diretto per raccontare la trasformazione dei Blooming Iris. Questo è anche il motivo per cui lo abbiamo scelto come primo singolo, oltre al valore affettivo. È stata la canzone con cui abbiamo delineato la nostra strada futura, ed è venuta fuori veramente in un giorno.
Per quanto riguarda il nuovo singolo, lo sentirete molto presto, entro la fine del 2014!


10 In conclusione Amondawa è un disco da sentire e dal quale lasciarsi trascinare, un disco molto distante dalla musica che circola nei network radiofonici. Quanto credete questo possa influire nel vostro percorso?
Siamo convinti che la rinascita degli ambienti underground passi da queste cose; quando ognuno farà la sua musica con chiarezza moriranno anche le categorie, verranno meno i paletti che impediscono il ricambio e la varietà della scena.

Per vedere l'intervista video clicca qui.

Intervista di Davide Di Cosimo


Blooming Iris – Amondawa (2014)

Same Old Blood
Spleen
Raw
Woodlack
Be Spring
NIM
The Mirror Stage
Solipsist
NIM II
Amondawa




mercoledì 5 novembre 2014

The Doors

Il Terzo Lato Del Vinile - Il Sito


Dopo aver passato tutta la settimana scorsa ad ascoltare praticamente solo questo disco o parte di esso come potevo non parlarvene. The Doors è l'album d'esordio dell'omonima band della California pubblicato nel 1967 da Morrison e compagni e che a livello di vendite in quell'anno fu secondo solamente a Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band dei Beatles, insomma battuti ma non proprio dagli ultimi arrivati. All'epoca fu un disco molto innovativo soprattutto per il sound psichedelico che è dovuto sia al tastierista Ray Manzarek che al chitarrista Robby Krieger, ma come non parlare della vera anima del gruppo e autore della maggior parte dei testi Jim Morrison, un uomo che non serve descrivere, un uomo divenuto un'idolo circondato dalla sua aura di mistero, il simbolo di una generazione sia negli Stati Uniti che nel mondo, nonché uno dei più importanti esponenti della rivoluzione culturale degli anni Sessanta. I suoi testi hanno un qualcosa di mistico che ti avvolge durante tutta la durata del disco, penso sia proprio questo che qualche anno fa mi ha fatto innamorare di questo gruppo e soprattutto di questa sorta di sciamano travestito da cantante rock. Le canzoni rispecchiano perfettamente il significato del nome della band "The Doors of Perception" cioè "le porte della percezione" nel senso che, ogni loro canzone ti trasporta in un universo parallelo fatto di riflessione, che nel loro caso era rivolto al periodo in cui vivevano come nella traccia di apertura Break on Through (To the Other Side), a proprie esperienze come per The Crystal Ship o Light my Fire, ma anche da fonti letterarie come per The End in cui coesistono varie ispirazioni tra cui Edgar Allan Poe, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, William Blake (come per il nome degli stessi Doors), ma soprattutto dall'Edipo Re di Sofocle, infatti nella parte culminante del discorso che in realtà è The End, Morrison parla appunto del complesso di Edipo, che fa ormai parte del mito dei Doors. Dell'album fanno parte inoltre altri pezzi molto importanti come Alabama Song, presa da un brano di Bertolt Brecht, che ancora una volta dimostra l'amore per la letteratura specialmente di Morrison, ma anche Backdoor Man scritta da Willie Dixon per Howlin Wolf, traccia che porta allo scoperto la grande influenza che ha avuto sul gruppo il blues. Infine vorrei parlare un po' di più della mia canzone preferita dell'album Light my Fire, che per chi non lo sapesse è stata scritta quai totalmente da Krieger quasi sfottendo Morrison e i suoi testi. Questa è una canzone che mi ha attirato fin dal primo ascolto in cui si notano subito i toni psichedelici dati dall'organo di Manzarek che seguiti dalla chitarra un po' latina e un po' orientale di Krieger hanno reso questa canzone un classico.





Jim Morrison - voce
Robby Krieger - chitarra
Ray Manzarek - organo, pianoforte
John Densmore - batteria


Lato 1

1. Break On Through (To the Other Side)
2. Soul Kitchen
3. The Crystal Ship
4. Twentieth Century Fox
5. Alabama Song 
6. Light My Fire

Lato 2 

7. Back Door Man
8. I Looked At You
9. End Of The Night
10. Take It As It Comes
11. The End