L'arte in funzione del rock, essenziale ma allo stesso tempo piena, toccante e coinvolgente ma anche distaccata e ricca di emozioni proprie, questa era la musica di una delle leggende del rock, che proprio in questi giorni ci ha lasciato, Lou Reed. Uno sconfinato amore per la propria musica,
"E' pretenzioso creare arte solo per il gusto di colpire l'ego degli artisti", che lo ha portato alla ribalta forse in maniera troppo silenziosa
"La vita è troppo breve per concentrarsi sul passato. Guardo piuttosto al futuro". Lou Reed e` questo, attraverso le sue parole e poi quelle di una delle sue amiche più famose, Patti Smith, vogliamo raccontarvi una leggende, che con i Velvet Underground prima e da solista poi, ha scritto una delle pagine più belle della storia della musica.
"Ho sempre creduto di aver qualcosa di importante da dire. E l'ho detto."
Da quando, assieme al compagno di studi Sterling Morrison, Reed si esibiva nei piccoli locali newyorkesi, proponendo alcune sue composizioni originali, pochi accordi e testi inconsueti rispetto alla musica rock di quel periodo, a quando il 15 dicembre del 1965 si esibisce, davanti ad alcuni frequentatori della Factory di Andy Warhol, che dopo averli ascoltati, sono proprio loro a suggerire a Warhol di assumerli come possibile resident band della sua Factory. Lou Reed si ritrova ad incidere uno dei dischi più importanti della sua e della nostra storia, The Velvet Underground & Nico, dove nel disco, undici canzoni dimostrano tutta la versatilità del sound del gruppo, passando dalla violenza di I'm Waiting for the Man e Run Run Run, alle ipnotiche e perverse Venus in Furs e Heroin, alla definitiva rottura con i Velvet Underground, contestuale però alla pubblicazione di un LP d'esordio chiamato proprio Lou Reed.
"Per cosa vale la pena vivere? Non lo so, se lo sapessi ve lo rivelerei. Anzi: direi per il tai chi, per una chitarra Fender, una Harley Davidson e un Porsche gialla. Ma la Porsche è italiana? No? Tedesca? Ah... Ecco perché funziona."
Nessuno meglio di Patti Smith, è deputata a parlare di Lou Reed all’indomani della sua scomparsa, la reggina del rock lo fa al corriera della sera, dal quale vi riporto queste parole:
"LA PRIMA VOLTA AL MAX’S KANSAS CITY - L a cosiddetta «sacerdotessa » lo vide per la prima volta nel 1970, al leggendario Max’s Kansas City, sopra il Village, nella fase finale dei Velvet Underground. E capì, Patti, di voler fare del rock un mestiere: «Ero così coinvolta dalla sua musica. L’ho studiata a lungo. Era un processo che mi parlava, un processo di fusione della poesia con il ritmo, un loop pulsante» ricorda a Associated Press. Fu proprio Lou a presentare la rockeuse a Clive Davis, colui che le avrebbe prodotto «Horses», l’album che la fece conoscere al mondo. Di lì due carriere parallele che si sarebbero intersecate poi trent’anni dopo, con splendidi concerti a due che avemmo modo di vedere prima in Sardegna e poi a Fiuggi all’inizio degli anni 2000.
«SIAMO IN DEBITO» - Di poesia e letteratura discorrevano spesso i due: Walt Whitman, Federico Garcia Lorca o Edgar Allan Poe. «Poteva parlare in modo articolato di ogni autore » dice Patti, felice poi per l’onda di commozione causata dalla scomparsa dell’ex Velvet Underground in tutto il mondo ( e il nostro Paese non fa eccezione). Una commozione che non è di prammatica, specie per chi fa il mestiere del rock’n’roll «Tanti di noi - conclude la cantante - hanno tratto beneficio dal lavoro da lui compiuto... Siamo tutti in debito con lui. Un debito che molti di noi non sono molto felici di avere. A volte vorresti immaginare di aver fatto tutto da solo. Ma penso che tutti debbano stare in fila per dire grazie a Lou, a modo proprio»."
Nessun commento:
Posta un commento